DDL SICUREZZA: SE IL DISSENSO NON SI ORGANIZZA
- Sombrero
- Feb 24
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Updated: Apr 4
E se credete ora
che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora
La sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare
La paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte
E grideremo ancora più forte
Il governo Meloni ha ottenuto l'approvazione alla Camera del ddl sicurezza, che introduce una trentina di nuovi reati, aggravanti e sanzioni.
Festeggiamenti da una parte, proteste dall'altra, mentre il provvedimento attende il verdetto del Senato.
Non vi spiegheremo in questo post tutti i nuovi reati introdotti da questo disegno di legge, per quello c’è la redazione di @pagella politica, che sicuramente sono più bravi di noi.

Quello che ci è chiaro è che questo nuovo governo vuole criminalizzare ulteriormente le proteste, in particolare quelle ambientaliste e quelle dei detenuti in carcere, con pene aspre anche per chi faccia della “resistenza passiva”.
Già piovono le prime accuse di un nuovo stato di polizia, come già accaduto con il primo decreto sicurezza del 2018, le minacce di scioperi nazionali per questa nuova deriva autoritaria.
Quello che colpisce, però, non è solo il giro di vite sulle proteste, ma una velata ispirazione ad un signore molto amico della nostra premier: Viktor Orbán.
Vanno d’accordo praticamente su tutto, tranne che sulla guerra in Ucraina e sui gruppi europei di appartenenza, ma questo non è sicuramente un ostacolo per i valori della Presidente.
Un riferimento è al tentativo di far eleggere il quindicesimo giudice della corte costituzionale, lo stesso che ha redatto la riforma costituzionale del “premierato”. Questo tentativo è fallito, ma non è certo questo episodio singolo a doverci far allarmare, dopo tutto si è sempre proposto un candidato politico, anche nei precedente governi.
Non lo è neanche la riforma costituzionale sull’elezioni diretta del Presidente del Consiglio in sé, a doverci far preoccupare, ma il quadro complessivo e le prospettive future.

Come lo è stato Orbán, cioè un esperto nel "giocare con le regole" del sistema giudiziario e costituzionale, per erodere lentamente lo stato di diritto, anche il nostro governo potrebbe esserne in grado; il leader ungherese non ha preso il potere con un colpo di stato, ma grazie ad una serie di riforme legali e costituzionali che, gradualmente, hanno svuotato le istituzioni democratiche dall’interno. Si è parlato spesso di un "colpo di stato costituzionale" per descrivere il fenomeno: un processo in cui la legalità formale viene mantenuta, ma il contenuto democratico viene svuotato.

Questo governo nel futuro potrebbe ripercorrere gli stessi passi, e il fatto di non trovarci nella stessa situazione in questo momento non dovrebbe rincuorarci, ma porci degli interrogativi seri: la società civile, e in particolare la gioventù, sarà in grado di percepire questo indietreggiamento democratico?
SAREMO REALMENTE IN GRADO DI MOBILITARCI, ANCHE SE IN MINORANZA, CONTRO UN AVVENIMENTO DEL GENERE?
In Ungheria, un paese che certamente non ha una storia democratica alle spalle come l’Italia, ma condivide una tendenza all’affidamento del potere ad uomo forte, le elite politiche e intellettuali, insieme alla società civile, si sono lasciate travolgere senza opporre troppa resistenza, non per scelta ma quasi per impotenza.
Orbán ha infatti costruito una rete di cooptazione tra le élite politiche ed economiche, offrendo posizioni di potere e vantaggi economici ai fedeli del suo partito, il Fidesz. Questo sistema clientelare ha gradualmente portato molte figure influenti a conformarsi alle politiche del governo, in quanto beneficiavano direttamente del suo controllo autoritario. La dipendenza economica e le opportunità di carriera hanno quindi scoraggiato fortemente la critica aperta.
C’è qualcuno che ha il coraggio di affermare che il clientelismo in Italia non sia tutt’ora diffuso?

Per quanto riguardo le riforme delle istituzioni democratiche, sono state sempre giustificate come necessarie alla stabilità del paese e per difendersi dai nemici esterni, come l’immigrazione, l’Unione Europea, le ONG, la magistratura ad esempio, riferimenti che non mancano di certo in Italia come abbiamo potuto vedere in questi mesi. Questo in Ungheria ha portato a disinnescare il senso di allarme delle elite e della società civile, chi è in grado di assicurarci che non possa succedere anche qui?
Altro punto fondamentale da sottolineare l’opposizione partitica che in Ungheria è stata debole e frammentata, incapace di formare un fronte unito contro Orbán. Le divisioni tra i vari partiti politici e la mancanza di una leadership carismatica in grado di catalizzare un movimento di opposizione hanno contribuito alla passività della popolazione e delle élite. Questa debolezza ha favorito la narrazione del governo secondo cui non c'era alternativa credibile a Fidesz, situazione che non sembra essere molto lontana dall’attuale opposizione politica italiana.
Davanti ad un’opposizione politica debole e scarsamente mobilitata, anche le società italiana potrebbe disinteressarsi, perché parliamoci chiaro, finché il decreto sicurezza colpisce principalmente detenuti e gli attivisti di Ultima Generazione, più della metà degli italiani andranno a dormire sereni, ma se un domani diventassimo veramente uno stato di polizia?

CHI SONO E CHI SARANNO I NOSTRI INTELLETTUALI DI RIFERIMENTO? QUALE SARÀ LA NOSTRA OPPOSIZIONE POLITICA?
Magari ci saranno i grandi gruppi d’informazione, accompagnati dal silenzio mediatico dei nostri grandi intellettuali, a fare da scorta mediatica al governo, come nel caso del genocidio a Gaza, che ha dimostrato ampiamente come questo possa avvenire.
Per quanto riguarda i partiti d’opposizione e i loro leader, non dovremmo fidarci molto in ottica futura; l’opposizione parlamentare è ormai ammuffita di fronte ad una popolazione confusa, afflitta da una sensazione di insicurezza, causata dalle vicende di cronaca nera che rimbalzano su tutti i giornali. Inoltre i leader che guidano questa coalizione di oppositori non spiccano proprio tutti per affidabilità, considerando che alla manifestazione del 14 dicembre c'era anche Giuseppe Conte, lo stesso che nel 2018 firmò il primo Decreto Sicurezza.
Nemmeno dei leader sindacali come Landini, spesso troppo vicini ai potenti per essere credibili nel ruolo di difensori della libertà, ma soprattutto rappresentante di una realtà praticamente sconosciuta ai giovani (7 su 10 under 34 non sono iscritti a nessun sindacato).
Il ddl sicurezza è ormai una questione generazionale, il testo dell’articolo 31 (obbligo di collaborazione per la condivisione dei dati alle agenzie di intelligence italiane) dovrebbe farcelo entrare bene in testa.

Accettarlo senza opporre resistenza significa ignorare una premessa pericolosa per il nostro futuro. Non possiamo permettere che venga normalizzato il principio per cui le università diventino strumenti del controllo statale, perché è esattamente nelle università che si formano il pensiero critico e la coscienza politica delle nuove generazioni.
Se c’è un luogo che deve rimanere libero, è questo.

Ma questa non dovrebbero essere una battaglia solo degli studenti di sinistra, e sarebbe un errore relegarla a un campo politico preciso. Studenti e giovani lo siamo tutti, indipendentemente dal colore politico. E saremo noi a dover affrontare le sfide del futuro: la precarietà lavorativa, la crisi climatica, l’erosione dei diritti sociali. Oggi il bersaglio sono gli attivisti, gli studenti, chi dissente apertamente. Come possiamo essere sicuri che il nostro diritto a manifestare sarà davvero garantito?
Non potremo restare in silenzio. E non sarà l’attuale classe intellettuale e politica stantia a garantirci queste certezze.
TOCCHERÀ A NOI GIOVANI SPINGERE SULL'ACCELERATORE DEL DISSENSO.
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