L’IMMIGRAZIONE È PER L’ITALIA UNA QUESTIONE STRATEGICA
- Francesco Cravero
- 4 giorni fa
- Tempo di lettura: 10 min

Al di là dei numeri relativi agli sbarchi, comunque considerevoli anche se al momento non spaventosi come probabilmente nel futuro prossimo, i nodi culturali, politici, sociali e demografici, quindi strategici poiché elementi che incideranno su un tempo più lungo e profondamente nella struttura, si rivelano sempre più salienti e significativi per la Penisola. L’immigrazione di massa su “scala industriale” dall’Africa e non soltanto che, malgrado il differente colore politico dei vari Governi non tende a ridursi e tantomeno a risolversi, mostra oggi i primi segni rilevanti nelle dinamiche della vita pubblica italiana. Dalle debolezze scolastiche e la scarsa contezza universitaria, fino alla prima lista politica d’impronta musulmana: tutti i rivoli socioculturali ai quali pare difficile porvi argine.
Saif al-Islam Gheddafi, in un paio d’interviste rilasciate al Corriere della Sera e a La Repubblica nel marzo del 2011 – ovvero alla ventiquattresima ora dal collasso sociale nordafricano – così si espresse: «Siamo rimasti molto scioccati, anzi molto irritati dalla vostra posizione [quella presa dell’Italia], perché voi siete il primo partner della Libia al mondo, ma ora sarà molto facile rimpiazzare l’Italia con la Cina o con la Russia, perciò state attenti. Se tradisci un tuo partner, come credi che quello debba reagire? […] Sapete che cosa accadrebbe se le milizie prendessero il controllo del paese? Che voi sareste le prime vittime, avreste milioni di immigrati illegali, i terroristi salterebbero dalle spiagge di Tripoli verso Lampedusa e la Sicilia. Svegliatevi! […] La Libia è una linea del fronte per l’Italia. Quello che succede oggi qui da noi, determinerà quello che succederà da voi domani. Per cui: state attenti».
Parole lontane nel tempo e forse un po’ esagerate quelle del figlio del Colonnello – quantomeno a proposito dei terroristi – ma indubbiamente realistiche oltre che lungimiranti soprattutto nel passaggio relativo l’immigrazione, al pari della Libia come: «linea del fronte».
Sommando i numeri del Viminale, in dieci anni sono giunti sulla Penisola circa un milione di persone e nell’ultimo trimestre gli sbarchi dalla Tripolitania sono aumentati del 30 per cento rispetto al medesimo periodo del 2024.
Sempre sulla scorta del mero calcolo aritmetico, lo scarto più impressionante tra l’Africa e l’Europa è l’età media: il Continente Nero presentava 19,3 anni nel 1950, 19,4 nel 2015. La Nigeria è il Paese che meglio rappresenta questa dimensione: da 37,9 milioni di abitanti nel 1950 ai 186 milioni odierni. Alle Nazioni Unite stimano che fra il 2050 e il 2100, lo Stato dell’Africa centroccidentale crescerà fino quasi al miliardo di persone. «Tra i dieci paesi più demograficamente densi del mondo, la Nigeria è quello che cresce più rapidamente. Di conseguenza, si prevede che la popolazione supererà quella degli Stati Uniti diplomando lo Stato africano come il più popoloso del mondo poco prima del 2050».
La ragione attribuita al rapido svilupparsi dei flussi migratori dal Nordafrica, all’Africa subsahariana; dal Medioriente al Sudest asiatico, è sempre stata quella della guerra come causa scatenante gli spostamenti. Il grosso dei migranti asiatici dal 2013 al 2016 parve in quegli anni legato agli stati di guerra e instabilità siriano e iracheno, ma in realtà solo 3.128 su 29.051 giunsero in Italia dalla Siria e dall’Iraq; la maggior parte, il 70 per cento, da Pakistan e Bangladesh. Il flusso immigratorio più corposo verso l’Italia, nell’ultimo decennio, è sempre stato quello proveniente dall’Africa: dai 9.561 del 2012, agli 88.487 del 2016, 71,5 per cento di tutti i richiedenti asilo, piuttosto che i 75.603 circa del 2017, sui 119.310 totali, o ancora i 15.333 circa sui 23.370 del 2018 e i 5.813 circa sugli 11.471 del 2019.
I due anni forti della pandemia hanno grossomodo seguito sempre il medesimo rapporto numerico e nonostante le misure restrittive e inibitorie legate al virus, hanno visto un aumento vertiginoso degli arrivi. Soltanto ad esempio: dagli 11.471 del 2019 ai 34.154 del 2020, fino ai successivi 67.040, 105.129 e 157.652. Se nel 2024 si sono potuti osservare 66.600 sbarchi, dei quali circa 13 mila minori, dall’inizio del 2025: 7.677 persone sono giunte in Italia dal Mediterraneo, tra cui 1.074 infanti-adolescenti sotto i 18 anni d’età.
Oggi il grosso proviene da Paesi asiatici: Bangladesh e Pakistan su tutti, con buona pace di chi ancora sostiene la causa dei conflitti armati, e il porto d’imbarco è perennemente Tripoli. «I migranti bengalesi arrivano generalmente in Libia via aerea facendo scalo negli Emirati Arabi Uniti: la maggior parte arriva a Bengasi, in Cirenaica, per poi raggiungere l’ovest del Paese via terra. Anche i siriani partono tendenzialmente dalla Libia, dove atterrano tramite voli aerei diretti tra Damasco e Bengasi, oppure facendo scalo in Turchia».
Al di là dei numeri relativi agli sbarchi, comunque considerevoli anche se al momento non spaventosi come probabilmente nel futuro prossimo, i nodi culturali, politici e sociali – finanche economici – e demografici, quindi strategici poiché elementi che incideranno su un tempo più lungo e profondamente nella struttura, si rivelano sempre più salienti e significativi per la Penisola. L’immigrazione di massa su “scala industriale” dall’Africa e non soltanto che, malgrado il differente colore politico dei vari Governi non tende a ridursi e tantomeno a risolversi, mostra oggi i primi segni rilevanti nelle dinamiche della vita pubblica italiana. La politica muscolare imposta da Salvini fra il 2018 e il 2019 diede momentaneamente una riduzione degli sbarchi, ma l’opinione pubblica e l’autonomia non assoluta di Roma, in questo caso nell’espressione della magistratura come apparato che governa i confini decisionali in campo estero per l’Italia – come grammatica strategica insegna –, hanno subito schiantato l’iniziativa. Da un paio d’anni la maggioranza Meloni tenta vie più o meno cervellotiche per aggirare l’ostacolo “diritto internazionale” nel contrasto all’immigrazione con l’accordo albanese che, però, ad ora rimane protagonista soltanto delle pagine dei periodici e del quale comunque non se ne comprende in maniera chiara la sostanza. Da verificare se anche in questo caso, come accaduto per quello precedente, la rappresentanza politica riuscirà sugli strutturali impedimenti del “diritto” esterno e sulla comprensione e disponibilità collettiva.

L’immigrazione afroasiatica da anni si sostanzia in tre vie: orientale, centrale e occidentale. La prima segue la direttrice: Turchia-Grecia-Balcani e tendenzialmente chi la percorre mira all’Europa centrosettentrionale. La seconda: dallo “smistamento” di Agadez, città nigerina, attraversa la Libia per poi superare lo stretto di Sicilia e raggiunger l’Italia. La terza infine segue la rotta: Ceuta-Melilla (exclave spagnole in Marocco) attraversando successivamente lo stretto di Gibilterra per giunger in Spagna.
L’anarchia libica ha favorito negli anni la via centrale. Non unica motivazione, a questa infatti s’aggregherebbe quella economica, ovvero tariffe più basse e migliore organizzazione logistica, data dall’instabilità saheliana. Con l’accordo spagnolo-marocchino, che per mezzo di variegate forme coercitive ha – se non eliminato – resa molto accidentata la via occidentale, Madrid oggi si trova anch’essa a fare i conti con l’afflusso cresciuto in maniera rilevante dalle Canarie. Infine, quella turca che su contributo economico “euro-germanico” (governo Merkel) ha concesso per anni il vantaggio del ricatto ad Ankara.
Almeno dal 2016 in Niger diverse aziende di trasporto pubblico sono state convertite a quello, stimolato se non forzato, di “migranti”: «[…] Sonef, Rimbo e 3Stv dispongono di mezzi moderni, prezzi concorrenziali e infrastrutture capillari, capaci di andare a raccogliere i viaggiatori fino a Accra, 2 mila chilometri più a sud, o a Dakar, 3.700 chilometri più a ovest». Il responsabile del Consiglio locale delle questioni migratorie, nello stesso anno, rispondeva così a un’intervista: «la migrazione, nella regione di Agadez, genera risorse economiche importanti, sostituendosi al business del turismo che un tempo rappresentava la prima risorsa della regione. Oggi, i turisti per noi sono i migranti: sono ben accolti, alloggiati, e accompagnati dove desiderano. Trasportatori, ristoratori, albergatori: tutti sono coinvolti».
Se il proprietario di Rimbo è Mohamed Rhissa, controverso miliardario locale, l’omologo di 3Stv era, sino alla scomparsa, Cherife Abidine, detto “Cocaine” per i suoi traffici di cocaina oltre che d’esseri umani. Ex deputato della regione di Agadez in quota al partito del presidente Mahamadou Issoufou, in carica fino al 2021.
Oggi la situazione pare non esser cambiata, né durante la presidenza di Mohamed Bazoum, né dopo il colpo di Stato ad opera del generale Abdourahamane Tchiani e sodali. Anzi, dal novembre del 2023, poco dopo la conquista del Ministero da parte ribelle, sono state abrogate tutte le misure restrittive concernenti il traffico d’esseri umani e assolti i capi d’accusa.
La Nigeria, da quando la Libia è divenuta uno Stato fallito, tramite l’associazione universitaria Black Axe, che dagli anni Settanta si occupa del mercato dell’eroina e si pone come movimento politico segreto, ha iniziato a adoperarsi nell’organizzazione, minuziosissima, sul piano logistico, promozionale e finanche giuridico, del traffico d’esseri umani: falsificando i documenti per lo status di rifugiato dei propri trasportati. I “migranti” venivano prelevati con la forza o con la minaccia e il ricatto da altri territori, spesso tramite riti di magia nera verso le famiglie, e ad essi venivano distrutti i documenti di provenienza e affidati loro quelli preparati ad hoc dello Stato dell’Edo. Tutto ciò a causa d’una sentenza del tribunale di Napoli del 2017 che etichettava tutti coloro che provenissero dalla regione dell’Edo come rifugiati politici. Diversi sono stati i casi di cronaca che hanno riportato la collaborazione fra le organizzazioni criminali italiane e quelle nigeriane come la Black Axe sul suolo nazionale, con attività appaltate a quest’ultime.
Nomadismo saheliano e subsahariano, fiumi di denaro, insieme alla riduzione dell’eccessiva richiesta sociale dovuta alla sovrappopolazione, convincono i governi a favorire il traffico o comunque a non turbare lo status quo.
«Più che minacciare direttamente l’Occidente nei confini del suo territorio, il jihad africano preferisce insidiare e parassitare le nostre economie a latere, attraverso il contrabbando e i traffici illegali sul suolo africano».

Ciò la dice lunga sull’importanza strategica del traffico d’esseri umani per le milizie islamiste africane, come per le organizzazioni criminali.
Da sotto l’immigrazione afroasiatica, emergerebbe poi anche il nodo dell’infiltrazione islamista che oggi vive un momento di scarsa celebrità mediatica, ma tuttavia rimane sotto le ceneri. Due fatti dell’ultimo decennio che conducono alla riflessione sul momento attuale.
Sabrata 2017. La città tripolitana che allora era sotto la dominazione del Califfato, in quell’anno divenne uno dei porti di partenza principali. Tra i “migranti” imbarcati a Sabrata, quasi sicuramente vennero infiltrati jihadisti con l’etichetta di “rifugiato”.
Dal 2020, successivamente essersi imposti su Haftar a difesa di Tripoli, in Libia occidentale governano i turchi che tatticamente hanno tutto l’interesse a permettere, se non fiancheggiare, le partenze: per destabilizzare uno Stato concorrente nel Mediterraneo come l’Italia e per estensione l’Europa intera. Le dichiarazioni di Erdogan, demiurgo dell’islam politico per l’Africa, di fare cinque figli a testa affinché rappresentino il futuro dell’Europa, la dicono lunga sullo strumento islamico che il “sultano” vuole e può, certo molto propagandisticamente, sfruttare.
Se l’Arabia Saudita foraggia storicamente le moschee e i centri culturali islamici per l’insegnamento, e l’indottrinamento, salafita, la Turchia negli ultimi decenni s’è ritagliata il proprio posto nella galassia islamistica.
Il secondo afferisce al progetto “Sharia4”: «Spesso è difficile distinguere tra una semplice personalità pia e una radicalizzata, purtroppo però tale differenziazione è fondamentale dal punto di vista della sicurezza».
“Sharia4” è un progetto che negli ultimi decenni mirava a indottrinare il salafismo in Europa. La più celebre e importante appendice è stata “Sharia4UK”. «In Gran Bretagna, secondo un’inchiesta della BBC, la sharia viene applicata quotidianamente dalla comunità islamica che così crea uno Stato nello Stato».
Per un verso “Sharia4” in Europa faceva proseliti salafiti, per un altro sosteneva l’azione terroristica. I soldi per finanziare il “combattente straniero” provenivano da donazioni verso moschee e istituti islamici.
S’è detto per la Gran Bretagna, ma nello stesso periodo in Danimarca alcuni filamenti islamici avrebbero addirittura chiesto formalmente l’introduzione della sharia allo Stato.
In Italia “Sharia4” non ha mai attecchito grazie a un buon antiterrorismo, a una Storia coloniale pressoché inconsistente e un afflusso immigratorio molto recente; ma ciò non significa che non possa affermarsi in futuro; magari con le generazioni prossime.
Alcuni eventi apparentemente di poco conto verificatisi nel 2024 danno l’esatta misura della grave inconsapevolezza italiana a proposito dei segnali storici: dalla concessione sulla festa del ramadan con la conseguente chiusura della scuola di Pioltello, ormai abitudine annuale, all’esonero dalla lezione sulla Divina Commedia, in un istituto scolastico del trevigiano, fino, accadimento forse più clamoroso, all’invito dell’imam Brahim Baya con tanto di sermone jihadista e genere femminile dietro una barriera presso l’università di Torino. Al di là del fatto di cronaca in sé che ovviamente lascia il tempo che trova, questi episodi danno la misura della scarsa contezza italiana su ciò che si cela dietro paraventi vari come, andando nell’ordine contrario: la difesa della causa palestinese, la “libertà personale di scelta”, piuttosto che quella di celebrare festività che però non hanno soltanto valore simbolico, convinzione diffusa sulla Penisola, e producono un precedente che ipoteticamente può deformare l’organizzazione della vita pubblica secondo le usanze culturali locali.
Nell’ultimo marzo l’ex assessore senegalese e musulmano Bou Konate in quota al centrosinistra, a Monfalcone s’è candidato per le comunali, 13 e 14 aprile prossimi, con una propria lista interamente straniera e ispirata ai precetti islamici; in una città che vede al proprio interno un buon 30 per cento, un terzo degli abitanti, di popolazione straniera.
La comunità islamica, seppur variegata dalla provenienza geografica e culturale degli appartenenti, sa benissimo come sfruttare la principale vulnerabilità sociale di Stati come l’Italia: ovvero una certa libertà d’opinione interpretativamente sconfinata che si rifà solamente all’individuo, senza tenere in considerazione la dimensione collettiva, e in egual misura conosce perfettamente il valore storico delle opere che non sono soltanto contributi dal valore artistico e virtuosistico, ma portano significati culturali.
Roma poi, come grammatica strategica prevede per un Paese a sovranità non assoluta, bada all’attività economica come fine ultimo per la collettività, ma tuttavia non riesce nemmeno nell’integrazione economica. Le rimesse verso l’estero nel terzo trimestre del 2024 sono aumentate del 2,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’aumento dei flussi verso l’Asia (+7,1 per cento), il Nordafrica e il Vicino Oriente (+11,3 per cento) hanno più che compensato il calo delle rimesse inviate verso l’Africa subsahariana (-8,6 per cento) e i paesi dell’Unione europea (-8,9 per cento).
Sulla base dei quattro trimestri terminanti a settembre 2024, Bangladesh, Pakistan e Filippine si confermano i primi tre paesi beneficiari delle rimesse dall’Italia, avendo ricevuto rispettivamente il 16, il 7,6 e il 7,0 per cento dei flussi in uscita.
Una costellazione di fattori ed elementi che in chiave strategica possono sostanziarsi in tre punti: demografia, atomizzazione sociale e islam come amalgama di lotta politica e visione del mondo.
Nel periodo fra il 1964 e il 1995 il tasso di fertilità è diminuito da 2,7 figli per donna ad 1,19. Dagli anni Novanta al crinale del primo ventennio dei Duemila, ha ondeggiato fra 1,5 e 1,20, ma grazie alle donne immigrate.
Il contributo straniero è oggi leggermente in calo, anche se soltanto apparentemente in ragione della cittadinanza acquisita.
Al di là del rischio radicalizzazione dunque relativo alla sicurezza nazionale, l’Italia, per esempio a differenza della Germania, non vive l’eventualità di fronteggiare in futuro una quinta colonna interna, quale potrebbe tramutarsi la comunità turca(tedesca) che rimane legatissima ad Ankara. L’afflusso “migratorio” verso l’Italia è eterogeneo, come i residenti sulla Penisola; tuttavia, essa rischia l’atomizzazione della propria società con le sacche straniere che vanno generandosi e sviluppandosi e che insieme alla decadenza demografica indigena darà un rapporto di forza difficile. L’islam può fungere d’amalgama di genti diverse che condividono una visione diametralmente opposta, perlomeno, se non anche una certa avversione agli usi e costumi che incontrano.
Tramite una pedagogia nazionale che alimenti la coesione della Penisola verso un fine superiore, della quale beneficerebbero anche gli italiani delle nuove generazioni, e insieme con il tentativo politico-diplomatico di favorire i flussi, se non è possibile arrestarli totalmente, provenienti da Paesi e zone non musulmane, decisamente più assimilabili, Roma potrebbe avvantaggiarsi in senso strategico da una questione di complessissima e complicatissima soluzione che avversa le agende degli ambiti di sicurezza e sociali di tutta Europa.

Comments